GRANNIES 12# – Arual Jay e il ritratto della bellezza vissuta
Nel mondo che celebra la giovinezza come unico ideale estetico, l’artista Arual Jay, membro dell’associazione Sergio Zaniboni, ci regala una visione potente e controcorrente. Con sei ritratti iperrealistici di donne anziane, la serie GRANNIES 12# celebra la bellezza autentica, la memoria, la resilienza.
Le protagoniste escono dall’inquadratura, sfidano la cornice, si impongono con forza e dignità. Tra loro, Maggie Smith, Rita Levi-Montalcini e Amália Rodrigues diventano icone di maturità, sapere e cultura.
Queste opere non sono solo ritratti: sono manifesti visivi contro l’omologazione, testimonianze vive che parlano al cuore e alla mente.
Nel mondo contemporaneo, dove la giovinezza è spesso celebrata come unico ideale estetico, l’artista Arual Jay propone una visione radicalmente opposta, profondamente umana e coraggiosa. La sua serie GRANNIES 12# è composta da sei ritratti iperrealistici di donne anziane, che diventano protagoniste assolute di un racconto visivo potente e controcorrente. Non sono modelle degli anni ’90, ma donne di novant’anni, ritratte con intensità e rispetto, trasformate in icone di bellezza autentica. Queste opere, realizzate in grafite su carta e incorniciate con cura, sono un manifesto contro l’omologazione estetica e culturale. I volti rappresentati non sono idealizzati, ma segnati dal tempo, dalla vita, dalle esperienze. Le rughe non vengono nascoste, ma esibite con orgoglio, come segni di identità, tracce di memoria, testimonianze di resilienza. Arual Jay non si limita a ritrarre: interroga, provoca, racconta. Ogni volto è un racconto, ogni tratto è una dichiarazione.
Una delle scelte più significative dell’artista è quella compositiva: le teste delle protagoniste escono dall’inquadratura, sfuggono alla cornice, si rifiutano di essere contenute. È una metafora potente dell’impossibilità di racchiudere una vita in un’immagine, di fermare l’identità in un ritratto. Le GRANNIES 12# strabordano, si impongono, si muovono oltre il limite fisico del foglio. Questa scelta formale è anche una presa di posizione contro la rappresentazione tradizionale del ritratto, che tende a congelare il soggetto in una posa, in una forma, in un’idea. Arual Jay rompe questa convenzione, e lo fa per dare spazio alla complessità, alla profondità, alla vitalità delle sue protagoniste. Le sue donne non sono icone immobili, ma presenze vive, che sfidano lo sguardo e lo spazio.
Il ritratto di Maggie Smith, celebre per il ruolo di Lady Violet in Downton Abbey, è uno dei più potenti della serie. Il volto dell’attrice è reso con una precisione quasi fotografica, ma con una profondità che solo la grafite sa restituire. Le rughe, gli sguardi, le ombre: tutto contribuisce a creare un’immagine che è al tempo stesso intima e monumentale. Esposto in diverse città europee, tra cui Torino, Skopje, Bologna e Parigi, questo ritratto ha avuto una forte visibilità internazionale. La sua forza sta nella capacità di trasformare un volto noto in simbolo universale della bellezza matura, della dignità, della presenza scenica che non ha bisogno di artifici. Maggie Smith diventa così non solo un’attrice, ma una figura archetipica, una rappresentazione della grazia che non teme il tempo.
Il ritratto di Rita Levi-Montalcini, intitolato Grannies 12#13 – Rita, è un omaggio alla scienziata Premio Nobel, ma anche alla conoscenza, alla curiosità, alla forza intellettuale. Il volto di Rita è reso con una delicatezza che ne esalta la profondità: ogni ruga è un segno di pensiero, ogni ombra una traccia di memoria. Il disegno non cerca di abbellire, ma di raccontare, di restituire la complessità di una donna che ha fatto della mente il suo strumento di libertà. Esposto a Bologna e Parigi, il ritratto si distingue per la sua composizione fuori dagli schemi. La testa che esce dall’inquadratura suggerisce che Rita Levi-Montalcini non può essere contenuta, né definita da un’immagine. È una figura che trascende il ritratto, diventando icona di un sapere che continua a vivere. In questo lavoro, Arual Jay riesce a fondere il rispetto per la persona con la forza del simbolo, creando un’opera che parla al cuore e alla mente.
Il ritratto Amália de Lisboa è forse il più narrativo della serie. Arual Jay raffigura Amália Rodrigues, regina del fado portoghese, con un volto intenso e raccolto, incorniciato da un velo che si trasforma in paesaggio urbano. Nei suoi capelli scorrono i quartieri di Lisbona, le chitarre del fado, le strade e i monumenti che definiscono l’anima della città. Il busto termina in uno skyline stilizzato, un ponte tra la figura e il territorio, tra la musica e la memoria. L’opera è stata esposta a Lisbona e Genova, dove ha ricevuto il Premio SaturARTE come miglior quadro. Nello stesso anno, Arual Jay ha ricevuto anche il Premio AROUND per le sue esposizioni in tutta Europa. Amalia non è solo un ritratto: è una canzone visiva, un omaggio alla cultura, alla voce, alla terra. È un’opera che canta, che vibra, che racconta.
Con GRANNIES 12#, Arual Jay ci invita a ripensare il concetto di bellezza, a resistere all’omologazione, a celebrare la diversità del vissuto. Queste opere non sono solo ritratti: sono testimonianze, manifesti, poesie visive. In un mondo che ci vuole tutti uguali, Arual Jay ci ricorda che la vera bellezza è quella che racconta una storia. Le sue GRANNIES non sono nostalgiche, né malinconiche. Sono fiere, presenti, potenti. Sono donne che hanno vissuto, che hanno amato, che hanno pensato. E che ora, grazie all’arte, continuano a parlare.
ARUAL JAY: Quando l’arte rompe le catene dell’identità nascosta
ARUAL JAY nasce nel 2012, ma viveva da sempre. Una voce creativa rimasta in silenzio troppo a lungo, ora esplode in opere che parlano di introspezione, contrasti e libertà.
Cornici barocche, paesaggi gotici, simboli potenti: ogni creazione è un racconto visivo che sfida le convenzioni e celebra l’autenticità.
ARUAL JAY è la prova che l’arte trova sempre la sua strada. Anche quando è rimasta nascosta per anni.
Arual Jay non è solo un nome d’arte: è una dichiarazione di libertà. È il grido silenzioso di una creatività rimasta a lungo imprigionata sotto il peso delle aspettative sociali, dei “lavori seri”, dei sogni messi da parte. Nata ufficialmente nel 2012, Arual Jay esisteva da sempre, come una scintilla pronta a divampare. E quando finalmente ha trovato la forza di emergere, ha portato con sé un mondo interiore ricco di contrasti, simboli e visioni potenti.
La prima “mostra” di Arual risale a quando aveva appena due anni: le tende della nonna divennero la sua tela, il fratello il suo primo fan, la critica domestica… meno entusiasta. Da quel momento, il percorso artistico non fu lineare. Gli studi in ambito creativo non vennero incoraggiati, ma la passione non si spense. Arual si fece autodidatta, esplorando tecniche e materiali con una curiosità instancabile: olio, matita, tessuti, oggetti trovati. Ogni mezzo era valido per dare forma a ciò che le parole non riuscivano a dire.
La svolta arriva quando Arual decide di mostrarsi. Di esporsi, insieme alle sue opere. La prima creazione è un manifesto visivo della sua tensione interiore: una cornice barocca nera, opulenta e quasi soffocante, racchiude un’immagine dai toni caldi, arancio e bruno. Al centro, forme avvolte da drappeggi scuri evocano mistero e profondità. In basso, ossa e un teschio stilizzato dialogano con la vita e la morte. È un’opera che parla di dualità: luce e ombra, bellezza e inquietudine, ordine e caos. La cornice cerca di imprigionare, ma il soggetto centrale resiste, emerge, vive.
Un mondo gotico e ironico
La seconda opera ci porta in un paesaggio gotico, dove case dai tetti spioventi si stagliano contro un cielo verde pallido. Croci, alberi spogli, un cimitero evocato. In primo piano, una figura stringe una zucca intagliata dal sorriso inquietante, simbolo di Halloween. Accanto, un gatto nero completa la scena. I colori – l’arancio brillante, il nero profondo, il verde sfumato – creano un contrasto magnetico. È un’opera che gioca con l’immaginario dark, ma lo trasforma in racconto visivo, dove ironia e inquietudine convivono.